I furbetti del compito in classe sono perlopiù maschi e asini in matematica. È l'identikit emerso da uno studio sull'arte di "ispirarsi", pratica perdonata dal 77% dei docenti. Un giudizio ben diverso da quello che ha costretto un ministro tedesco a dimettersi. Primato tra i periti agrari: il 45% si fa aiutare dai compagni. Contro l'11% nei classici
di VERA SCHIAVAZZIEcco, finalmente, un campo nel quale le buone, vecchie abitudini si intrecciano con le nuove tecnologie, senza elidersi né cannibalizzarsi. Sui banchi di scuola italiani, nelle università, nei concorsi, si copia come prima e più di prima. Lo fanno tutti, i maschi più delle femmine, gli studenti del liceo scientifico più di quelli del classico, chi è scarso in misura maggiore rispetto ai bravi, ma - al netto dei contrappesi statistici - le percentuali sono eloquenti: copiano "spesso" o "qualche volta" il 69,2 dei ragazzi, il 59,8 delle ragazze. Due studenti su tre. E a comporre l'identikit del copione ci sono dati curiosi, come il primato dell'istituto tecnico agrario, dove confessa di copiare spesso il 45,1 per cento degli allievi, contro l'11,1 dei classici. All'artistico, in compenso, non copia mai il 12,8 per cento, ma è facile ritenere che questo dato, il più virtuoso in assoluto, sia legato alla difficoltà di riprodurre un disegno o una tavola. Chi ha la media dell'8, del resto, copia spesso soltanto nel 6,4 per cento dei casi, mentre chi è sotto il 6 lo fa una volta su due.
È da questi dati, messi insieme con lunghe ricerche e incroci, che è partito il sociologo Marcello Dei per il suo "Ragazzi, si copia", che esce domani per il Mulino con una prefazione di Ilvo Diamanti. Lo studioso e altri ricercatori (nel caso dei licei, Rita Chiappini) hanno poi classificato i sentimenti di chi attinge a piene mani, nascondendosi al professore: 6 su 10 risultano indifferenti, uno su quattro è soprattutto soddisfatto per la furbizia dimostrata. La gioia supera di un soffio il senso di colpa: 38,5 per cento contro 37,1. Un atteggiamento mentale lontano, almeno apparentemente, da quello tedesco, che ha da poco spinto alle dimissioni il ministro Karl-Theodor zu Guttenberg, smascherato come laureando copione, o i regolamenti delle principali università americane che prevedono l'espulsione in caso di plagio.
D'altra parte, in Italia, chi non copia non lo fa per virtù. "Timidezza e superbia. Sono i due difetti che mi hanno impedito di farlo, ma non ci avrei trovato nulla di male - ammette Domenico Starnone, scrittore ed ex prof, autore di Ex Cattedra e Sottobanco - Ero, anche, abbastanza arrabbiato con i miei compagni che copiavano ossessivamente mentre io sgobbavo sui libri. Più tardi, da insegnante, ho valutato seriamente la possibilità di consentire ai ragazzi di accedere alle fonti: come si fa, per esempio, a scrivere qualcosa di non banale in un tema letterario se non si ha la possibilità di consultare dei testi? Chi non sa nulla, comunque, non è in grado di fare neppure questo". Stesso problema per gli scienziati: copiare è un'arte e richiede abilità. "Per "rubare" un compito di matematica al compagno bisogna comprendere le formule, altrimenti si sbaglia - spiega il matematico Piergiorgio Odifreddi - Inoltre, ci vuole una grande fiducia nelle capacità dell'altro, che io per esempio spesso non avevo, convinto di essere il migliore... Si copia fin dai tempi di Pitagora, e i geni come lui sono rarissimi: la maggior parte di noi, anche dopo la scuola, non fa altro che rimasticare cose già fatte da altri".
La tolleranza è molto diffusa. "Copiare - avverte Dei nel suo nuovo libro - è come giocare a guardie e ladri. Presuppone l'interazione tra copiatore e guardiano, e magari un terzo complice". Del resto, come rivelano i suoi dati, solo il 24,4 per cento dei professori ritiene il fatto di copiare il compito in classe "molto condannabile", mentre chi suggerisce ai compagni può essere perdonato secondo il 77 per cento. Il campione utilizzato dall'autore tra gli alunni di quinta elementare e quelli delle medie inferiori, del resto, rivela che il vizio si impara da piccoli: già in quelle classi, infatti, copia spesso il 4,7 per cento, e qualche volta un più consistente 28,7, mentre solo il 25 per cento si dichiara del tutto virtuoso. In cima alla classifica c'è la matematica, che offre quasi la metà delle occasioni di frode. Bambini e ragazzi, del resto, non vengono particolarmente repressi: alla domanda "sei stato scoperto?" il 58,3 per cento dei copioni risponde con fierezza "mai", e al quesito "che cosa è capitato quando l'insegnante se ne è accorto?" il 6,2 per cento asserisce che non è successo nulla e il 38,8 spiega con sollievo di aver ricevuto "solo una sgridata", mentre è stato punito il 10,8 per cento. "Rubare" i compiti scolastici, d'altra parte, è un delitto senza vittime, almeno nella percezione degli studenti italiani, e tutt'al più fa male a chi lo commette. Alla domanda su quale sia il danno di questo comportamento, il 66,8 per cento risponde "lo studente che lo fa e ottiene un buon voto inganna se stesso", mentre solo il 6,6 ritiene che la parte lesa sia il compagno dal quale si è copiato, e il 12 per cento si rammarica per chi "invece ha studiato".
Ogni tanto, qualcuno si stanca di dover passare i compiti, come l'astronoma Margherita Hack. "Feci una gran scenata ai miei compagni, ero stanca di essere sfruttata, e del resto non andavo oltre il 6 o il 7", racconta. Lo scrittore Claudio Magris ne fa, invece, una questione di lealtà: "Passare il bigliettino al compagno in difficoltà insegna a essere amici di chi ci sta di fianco". La pensa allo stesso modo Fabrizio Jacobacci, avvocato, titolare di uno degli studi più importanti al mondo specializzati nella tutela dei marchi, e dunque nelle strategie anti-plagio. "Ero bravo in matematica - racconta - e facevo in modo che tutti i miei amici riuscissero a copiare da me. Almeno allora non ci vedevo nulla di male".
E tra i coming out più famosi, come dimenticare quello di un imprenditore di successo, Luca di Montezemolo, che nel maggio del 2007 incoraggiò così gli studenti della Luiss: "A scuola ero campione mondiale di copiatura, facevo sempre in modo di mettermi vicino a qualcuno bravo e generoso...". Altri, come l'attore e regista Moni Ovadia, rivendicano il sottile filo rosso che unisce la tolleranza tra i banchi con arte, musica, teatro. "Copiavo, avrò copiato di certo qualche volta - ricorda Ovadia, che ha frequentato il liceo scientifico alla Scuola ebraica di Milano - Ora lo faccio di continuo, perché il mio lavoro non è altro che trasferire delle idee, possibilmente senza spacciarle per nostre. Un giorno un pianista klezmer di Cracovia suonò una canzone che mi piaceva molto, glielo dissi e mi rispose: "La musica è mia, le parole le ho rubate anche quelle". È stata una lezione di vita". Lontano dai palcoscenici e fuori dalle aule, però, esistono mondi dove il furto del lavoro altrui è considerato una bestemmia: "Cerchiamo di avere idee originali, ma se fossimo tentati di copiare i concorrenti se ne accorgerebbero subito - dice Anna Innamorati, pubblicitaria, presidente di McCann Erikson Italia - Paradossalmente, per noi, l'esistenza della Rete e la possibilità per tutti di spiare il lavoro altrui ha reso più difficile il plagio".
La condanna morale del copiare, invece, è al centro del sistema scolastico americano, dove la parola usata è cheating, imbrogliare. "Per chi studia negli Stati Uniti - dice Daniela Del Boca, economista, docente, studi a cavallo tra i due Paesi - si tratta di una possibilità che non esiste, specialmente una volta arrivati all'università, dove si paga molto e in genere si è molto motivati. Ma copiare viene stigmatizzato fin dal liceo. Copiare significa non credere in se stessi, che si scontra con l'individualismo alla base del loro pensiero, mentre da noi prevale la tendenza a conformarsi ad un gruppo. Personalmente, se scopro uno studente che copia annullo la sua prova, ma perlopiù cerco di responsabilizzarli". La maggior parte dei prof, però, non è così ottimista, e cala le armi di fronte a finti orologi collegati a Internet o alla vecchia "cartucciera" ancora in voga, con le varie traduzioni infilate negli interstizi della cintura. "Che cosa dovremmo fare? - lamenta l'insegnante di liceo Luigi Smimmo, uno dei tanti che hanno scritto a Marcello Dei - Dare da tradurre versioni non d'autore, in modo che siano introvabili? O isolare le nostre aule, creando una zona senza campo telefonico? Impossibile. Non resta che continuare a lavorare. E sperare".
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